Agroecologia e decrescita

Agroecologia e decrescita, un dibattito aperto e ricco di proposte

(a cura del gruppo di lavoro del tavolo organizzato sul tema agroecologia alla conferenza di Venezia – Decrescita: se non ora quando?)

Questo documento è stato predisposto attraverso un percorso partecipato in cui, nel corso dei mesi precedenti l’avvio della conferenza, si è cercato di raccogliere una serie di spunti e di domande finalizzate ad aprire una discussione, la più ampia possibile all’interno del tavolo di lavoro sull’agricoltura – Un patto produttori-consumatori per la transizione agro-alimentare.

A seguito della discussione è stato redatto un rapporto di sintesi del dibattito e riportate le priorità sulle quali attivarsi per un cambiamento nel modello agroalimentare.

  • Un patto produttori-consumatori per la transizione agro-alimentare – documento di lavoro sottoposto alla discussione durante la conferenza di Venezia 

Il documento base portato a Venezia per la discussione riguardava in particolare il tema della produzione e del consumo e viene di seguito riportato così come proposto alla discussione nel tavolo di lavoro.

In questi ultimi mesi sono emersi numerosi contributi riguardanti la collocazione della produzione e consumo di cibo in una strategia di decrescita. Gli orientamenti enunciati sono ampiamente condivisibili, in particolar modo alla luce di quanto abbiamo appreso attraverso la pandemia da Covid-19, la guerra in Ucraina e la crisi ecologica sempre più evidente. Stiamo affrontando difficoltà di accesso alle risorse, su cui grava ulteriormente la chiusura dei mercati, ed appare sempre più necessario ancorare la soddisfazione dei bisogni delle comunità ai territori, attivando processi di transizione, che spostino i flussi di produzione dai mercati globali a quelli locali. Bisogna evitare il rischio che, spinti dalla contingenza, si decida di andare nella direzione dell’aumento delle rese, della riabilitazione degli Ogm, rivedendo gli obiettivi del Green Deal e riabilitando l’agricoltura industriale. Vogliamo affermare con forza il principio della “sovranità alimentare”, inteso come “il diritto dei popoli ad alimenti nutritivi e culturalmente adeguati, accessibili, prodotti in forma sostenibile ed ecologica, ed anche il diritto di poter decidere il proprio sistema alimentare e produttivo”.

Potendo contare già su documenti che definiscono il quadro teorico d’azione, nel cammino verso Venezia 2022 si predilige un’attenzione alle pratiche, all’implementazione di alcuni orientamenti emergenti. Con un obiettivo di espandere il campo d’azione di esperienze definite “virtuose”, si riparte da esse, per evidenziarne il potenziale di replicabilità, le condizioni di successo, ma anche alcuni limiti intrinsechi; tentare di superare questi ultimi ci porta a calarci nella realtà e provare a formulare proposte che, insieme con gli attori che a livello locale stanno sperimentando o potrebbero sviluppare alcune innovazioni, risultino in grado di guidare verso una reale transizione del sistema agro-alimentare.

Nell’ottica di costruire un documento a più voci sulla “transizione agro-alimentare”, di seguito si riportano alcuni quesiti, che hanno alimentato e alimentano il dibattito sul tema. Il confronto su questi quesiti proposti alla attenzione dei partecipanti al tavolo di lavoro della conferenza porta alla definizione di piste di lavoro che tenendo come riferimento i principi della decrescita e della economia solidale guardano in particolare alla questione della governance dei processi della produzione e del consumo di cibo, e alle modalità con cui incentivare l’educazione al consumo e allo spreco zero, e in generale le condizioni di accesso al cibo, ecc.

1.1 La produzione

Rispetto al tema della produzione attraverso una serie di quesiti si cerca di capire come attivare un processo di transizione da una agricoltura che guarda alla produzione di merce ad una agricoltura che ha al centro il tema del cibo e di una sana alimentazione. Come incentivare/guidare una reale transizione dall’agricoltura convenzionale verso una realtà più sostenibile, in cui ci si preoccupi di ‘produrre cibo’, più che semplicemente di ‘produrre un prodotto’? Come orientarsi verso un modello di agricoltura coerente con la visione della decrescita, ispirato all’agroecologia? 

L’agroecologia sembra essere fonte d’ispirazione per cambiare la direzione attuale. Quando facciamo riferimento a questo approccio pensiamo a una produzione agricola che adotti i principi dell’ecologia, rispettosa degli ecosistemi e a impatto climatico zero, spesso associata alle pratiche di agricoltura biologica. Possiamo esplicitare meglio questo approccio richiamando almeno dieci fattori importanti (AIDA) che lo definiscono e ne caratterizzano l’implementazione: 

  1. Diversificazione nelle scelte produttive; 
  2. Co-creazione e condivisione di conoscenze; 
  3. Creazione di sinergie; 
  4. Salvaguardia dell’efficienza; 
  5. Sostegno al riciclo; 
  6. Maggiore resilienza di persone, comunità ed ecosistemi; 
  7. Salvaguardia dei valori umani e sociali; 
  8. Salvaguardia di cultura e tradizioni alimentari; 
  9. Governance responsabile; 
  10. Sostegno all’economia circolare e alla solidarietà. 

Anche diversi documenti dell’UE, fra cui la recente strategia From Farm to Fork, indicano la chiara volontà dell’Unione di spingere verso l’agricoltura biologica, ma questa transizione è davvero possibile e la sola possibile? L’ Agricoltura biologica può sfamare il mondo? Quale accessibilità alle produzioni biologiche nel senso che si tratti di prodotti di nicchia o prodotti di largo consumo? Come ricondurre il quadro finanziario di sostegno all’agricoltura a principi di sostenibilità? In questi ultimi mesi sono state definite le regole della politica agricola comunitaria per il prossimo periodo di programmazione. E se provassimo a pensare ad obiettivi di politica comunitaria/incentivi legandoli ad una dimensione bioregionale, in cui si cerca di rischiare, guardando ai territori e a rispondere, per lo meno in parte, ai bisogni delle popolazioni, cercando di reindirizzare le produzioni agricole, di promuovere una maggiore efficacia dei risultati a livello ambientale? Le proposte sono molte: agricoltura conservativa e supporto alla multifunzionalità, agricoltura rigenerativa … potrebbero essere una valida risposta? L’agricoltura deve essere indirizzata principalmente a rispondere ai bisogni delle popolazioni locali (come sottolineato dal principio di sovranità alimentare) e quindi con una diversificazione produttiva (comunità del cibo) che va contro le logiche di specializzazione territoriale che portano alla costituzione di “distretti alimentari” (prosecco, prosciutto…)? Quali azioni mettere in campo per iniziare a ragionare in termini di bisogni alimentari e produzioni: la mappatura dei sistemi produttivi presenti in territori circoscritti per individuare chi produce per la comunità locale e chi può essere reindirizzato?  Come convincere i piccoli e medi agricoltori ad affrontare questo passaggio? Gli incentivi bastano per indirizzare in modo diverso le produzioni? Quale ruolo delle Università, e più in generale del mondo scientifico, come soggetti che vanno ad agire in maniera trasformativa? Come ci si confronta con il quadro istituzionale/logistico… che caratterizza attualmente i mercati dei prodotti e delle materie prime? È necessario configurare nuovi quadri istituzionali per attivare processi di transizione che coinvolgano il settore della produzione e del consumo di cibo. Quali istituzioni per governare un processo di transizione, nuove forme di democrazia? Quale rapporto con la tecnologia e la green economy in agricoltura? 

  • La distribuzione e il consumo

Il tema della produzione e del consumo è rilevante in quanto pone al centro la costruzione di un modello distributivo ripensato su una dimensione di territorio che garantisca la sostenibilità e che ci pone di fronte ad una serie di domande

Come ridurre/annullare la mediazione tra produttori e consumatori (supporto alle filiere corte)? Come privilegiare nei limiti del possibile le produzioni locali (consumo di prodotti a chilometro zero)? Come riattivare/recuperare l’aspetto relazionale, senza rinchiudersi nel ‘localismo’? Vogliamo dare voce alle esperienze di mercato alternativo, in cui si vende ‘cibo e non prodotti agricoli’, ma quali spazi effettivamente ci sono per nuove politiche che affrontino il nodo globale/locale? 

Filiera corta, territorialità, chilometro zero, mercato rionale, auto-produzione, sembra quasi un gradiente verso la chiusura, l’auto esclusione dal sistema; viene a mancare la ‘contagiosità’, ma in un contesto in cui c’è sempre più bisogno di relazione, come possiamo aumentarla, anziché chiuderci in piccole comunità, col rischio dell’auto-referenzialità? Quale possibile evoluzione per i GAS e le altre organizzazioni che operano con un approccio bottom up? I GAS, ad esempio, potrebbero essere soggetto trasformativo non solo della fase di acquisto e consumo, ma anche della produzione del cibo, purché sviluppino un rapporto diretto e solidale con i produttori, che può arrivare a comuni assunzioni di responsabilità su programmazione della produzione e sui termini dello scambio. 

Quali limiti delle esperienze attuali si potrebbero superare? Quanto importanti possono essere considerate le seguenti azioni per il futuro

  1. potenziamento della rete, con un numero più elevato di agricoltori: questo potrebbe consentire una più ampia risposta alla domanda emergente, una maggiore selezione di prodotti di qualità, una scelta più mirata di operatori economici e prodotti.  
  2. Allargamento della rete, con il coinvolgimento maggiore dei giovani; in quest’ottica dovrebbe essere migliorata la comunicazione e l’informazione per una maggiore sensibilizzazione sulle questioni riguardanti il cibo.
  3. “Reti di reti”. In un’ottica di intensificazione e valorizzazione delle relazioni tra cittadini, produttori, trasformatori e consumatori, nell’azione a livello locale, è opportuno ogni volta chiedersi quali siano le reti già presenti nella filiera agroalimentare “decrescente e solidale”,  i progetti innovativi in questo campo, quale sia la dimensione di questo fenomeno, come da queste esperienze si possa arrivare a una proposta politica, che sia in grado di accellerare la transizione visto che i tempi sono brevi per cambiare rotta. 
  4. Superamento di alcuni limiti organizzativi; questi sono in alcuni casi connessi con il dover contare prevalentemente sul volontariato, ma si stanno sperimentando con successo alcune pratiche, come quella della Banca del tempo, che attraverso lo scambio di ore di lavoro, consentono di mettere in campo competenze diverse (esempi a Firenze e Torino).  
  5. Maggiore attenzione agli impatti ambientali del sistema distributivo, in particolare per quei prodotti che arrivano da altre regioni. Con quali strumenti monitorare e gestire le performances ambientali delle attività di approvvigionamento/distribuzione bottom up? Ci sono almeno due aspetti su cui sarebbe utile porre l’attenzione: il primo ha a che fare con gli imballaggi, per i quali, anche se stanno emergendo pratiche di riuso, in particolare per ciò che concerne il vino e frutta/verdura (recuperando modalità già diffuse in passato), si stenta a trovare soluzioni più sostenibili in alcuni comparti, come quello della carne; il secondo aspetto riguarda la logistica, il confronto tra i costi ambientali di diverse alternative. Fondamentale collaborazione produttori – utilizzatori per progettare azioni e fare investimenti (es. camion refrigerato)  
  6. Pensare ad una motivazione più ampia per far parte di un GAS, di una Comunità del Cibo, di un CSA, ecc., sia dalla parte del produttore, sia da quella del consumatore. Quali possono essere le ragioni/motivazioni che spingono in questa direzione? Nell’ambito della produzione agricola, questo potrebbe declinarsi come il riconoscere che l’agricoltore è in relazione con la terra/Terra, che la rispetta, nel processo che conduce alla produzione di cibo e non di semplici prodotti agricoli. In tale contesto, si può immaginare di lavorare anche per la ‘bellezza’ del territorio stesso (paesaggio ad esempio), e questo sforzo deve essere riconosciuto dalla comunità che vi si sente partecipe. In un contesto in cui emerge fortemente la necessità di rifocalizzare l’attenzione sulla comunità, per creare relazioni sia tra persone che con il territorio, è fondamentale adottare il concetto di Beni Relazionali (Zamagni), riconoscendo che in ogni transazione (economica) esiste qualcosa che va oltre il ‘valore’ economico. Questo concetto è interessante, in quanto già codificato e in qualche modo riconosciuto dal mondo economico, quindi è qualcosa di già presente, su cui si può costruire un dialogo, anche con il ‘mainstream’. Tale concetto, inoltre, consentirebbe di andare oltre la certificazione, in quanto sarebbe lo stesso bene relazionale che, una volta riconosciuto, testimonierebbe della qualità del processo di produzione. 
  7. Guardare anche altre esperienze che stanno emergendo con gli stessi scopi, ma con formati aggregativi diversi. Per quanto riguarda gli aspetti logistici, ad esempio, ci sono esperienze di piccoli produttori che si mettono insieme, ma non per isolarsi dal sistema, quanto piuttosto per entrare e farvi parte con voce in capitolo, partecipando alle stesse piattaforme utilizzate dalla GDO (esperienza guidata da La Louve, Parigi, Park Slope a New York, Camilla, Emporio di Comunità a Bologna). Altre esperienze interessanti per il coinvolgimento delle comunità locali sul tema cibo sono quelle legate alla introduzione dei Biodistretti (ad esempio, il biodistretto Terre Bellunesi) e alle cosiddette Comunità del cibo.  Convergenza comunità del cibo con altre comunità che difendono altri beni comuni (es. rete dei BCE ad uso civico) o valori o diritti sul territorio (es. iniziativa a Poveglia) 
  8. Valorizzazione dell’azione trasformativa a livello di territori interessati e delle pratiche sociali. Quale peso può avere il tema della autoproduzione di cibo e dello scambio nel definire il tessuto relazionale delle comunità locali? Se le singole pratiche ecosolidali, in particolare quelle più innovative (CSA, Empori di Comunità, Sistemi Comunitari di Scambio, Patti, Filiere agro-alimentari alternative), non si inseriscono in una strategia più complessiva di trasformazione, di produzione, scambi e “formazione sociale” esistenti nei singoli territori, rischiano anch’esse di limitarsi a forme di “sussistenza” o al massimo di “resistenza” rispetto alla sussunzione da parte del sistema dominante e non di “liberazione” da esso (in corsivo le 3 forme attuali di economia solidale nei singoli paesi secondo E.Mance). Più in generale le esperienze dei diversi ambiti in cui si prefigurano processi comunitari, dovrebbero essere trasformative innanzitutto rispetto alle pratiche pre-esistenti dei singoli attori coinvolti, diventare trasformative rispetto al territorio in cui tali esperienze sono inserite: i soggetti coinvolti dovrebbero assumere un ruolo pro-attivo nella costruzione di nuovi flussi economici, ambientali, sociali, culturali e politici sul piano locale, costruendo sui singoli temi concreti, alimentare ed energetico ad es., percorsi di ‘sovranità’. In un simile contesto, potrebbe essere utile anche allargare lo sguardo oltre gli aspetti agroalimentari, ad esempio considerando il possibile ruolo delle Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) e dell’agrofotovoltaico, nel definire nuove traiettorie di sostenibilità. Tali strumenti, infatti, che trovano spazio (e fondi) anche nel PNRR, potrebbero essere un catalizzatore di relazioni, sia orizzontali che verticali, in grado di favorire l’attivazione di alcuni processi virtuosi che partano dalle necessità dei territori e delle comunità locali. Le CER vengono individuate, anche a livello governativo, come potenziale leva di sviluppo economico per la transizione potendo promuovere best practices per massimizzare i benefici ambientali, sociali ed economici sul territorio. Uno degli aspetti chiave è, infatti, la forte accentuazione sociale (coniugata ad un indiscutibile vantaggio economico), che si concretizza in una reale capacità trasformativa a lungo termine. Alcune CER stanno in effetti nascendo dai GAS (Co.Energia, patti). 
  9. Educazione al consumo responsabile – educazione al consumo sano. Si pone più in generale una questione di decrescita nei consumi anche allo scopo di migliorare la qualità dei prodotti acquistati. Allo stesso tempo è necessario garantire l’accessibilità ai prodotti di qualità, sia in termini di disponibilità che di prezzo, assicurare una adeguata informazione sul valore dei beni che si stanno acquistando. In questa direzione la certificazione si configura come opportunità o ostacolo? Come affrontare la questione della fiducia e delle certificazioni delle produzioni agricole, come valorizzare le relazioni necessarie per valorizzare processi virtuosi? 
  10. Riconoscimenti legislativi e formati istituzionali. Quali sono le necessità da un punto di vista normativo per valorizzare i processi di cambiamento in atto? Come tener conto di esigenze delle imprese aperte a differenti modalità di lavoro? Ad esempio, supermercati partecipativi, cooperative “di comunità” ecc. hanno bisogno di un quadro normativo che consenta di utilizzare anche lavoro volontario. Quale riconoscimento per diversi formati istituzionali?
  • La discussione 

“Venezia 2022” è stata l’occasione per verificare il peso dei punti enunciati, in un confronto aperto a coloro che hanno partecipato al tavolo di lavoro e che, a vario titolo, erano coinvolti nel sistema agroalimentare e operavano scelte come cittadini produttori, trasformatori, distributori, consumatori. 

2.1 I partecipanti

Il gruppo di lavoro che si è riunito a Venezia ha visto la partecipazione di 48 persone appartenenti a diverse realtà istituzionali, Università, enti locali, rappresentanti di altre istituzioni, associazioni e cittadini interessati al tema e attivi nel dibattito sull’agricoltura.

2.2 Il lavoro di gruppo

Dopo una presentazione del documento di lavoro proposto per la conferenza, il tavolo di lavoro ha preliminarmente posto l’accento sulla:

– indifferibilità di un ripensamento su metodi di produzione e consumo alimentare, anche alla luce di alcuni eventi, quali la pandemia da Covid 19, la guerra in Ucraina, l’affermarsi di processi speculativi, e le ripercussioni di alcune scelte sulla crisi ecologica e sul cambiamento climatico;

– necessità di una attenzione maggiore ai mercati locali rispetto a quelli globali;

– preoccupazione che l’emergenza attuale venga affrontata con la creazione di nuove forme di pressione dell’agricoltura sull’ambiente e con la riabilitazione della agricoltura industriale.

Venezia 2022 ribadendo un sostegno all’approccio dell’agroecologia, ha dato da una parte spazio ad alcuni interrogativi relativi all’implementazione di processi virtuosi che possono riguardare tutto il sistema agro-alimentare, con uno sguardo alle pratiche, e all’espressione delle priorità per il futuro dall’altra. 

Nella discussione si è cercato di far emergere la reale capacità di alcune pratiche nell’attivare innovazioni a livello di comunità, nei contesti locali, di superare gli obiettivi inizialmente posti, di costruire capitale sociale. A partire da forme organizzative diverse (GAS, CSA, Comunità di Campo, ecc.) sembra emergere un comune intento di passare da rapporti incentrati sulla ricerca di una maggiore qualità del cibo a relazioni che si allargano a più attori e portano avanti più obiettivi. Si utilizzano arrangiamenti già sperimentati in passato, in qualche modo istituzionalizzati, ma talvolta cambiano anche le forme e si configurano nuovi assetti.

Fra le pratiche prese in considerazione, particolare attenzione si è posta a quanto è riconducibile ai GAS. Essi stanno attraversando processi evolutivi più o meno importanti in diversi contesti territoriali, che tentano di andare oltre una “spesa migliore”, sostenendo una co-progettazione, che svincola il concetto di cibo da quello di merce, da una parte, e dall’altra espande il suo campo di interesse anche ad alcuni servizi (per esempio all’approvvigionamento di energia, alla tutela del paesaggio), diventa un mezzo per affrontare la crisi. I GAS dunque come attore che tende ad assumere un ruolo nelle politiche territoriali e nello specifico della food policy; nel far questo deve necessariamente confrontarsi con le istituzioni e le organizzazioni dell’agricoltura tradizionale.

Fra le nuove pratiche emergenti meritano senza dubbio interesse quelle riconducibili alle Comunità di famiglie e Comunità di campo, come ad esempio nell’esperienza di Preganziol che guardano al di fuori dei GAS, agli esempi dei CSA (in particolare a quello di Bologna), a quello dei distretti di economia solidale. L’avanzamento rispetto ad esperienze precedenti sta nel consolidarsi di un rapporto più stretto, una maggiore condivisione e allargamento di obiettivi tra produttori e famiglie, tra offerta e domanda, tra produttore e “fruitore”.

E’ emersa con chiarezza la necessità di promuovere e allargare la pratica dei “Patti” tra produttori e utilizzatori , per  portare avanti quella crescita dei GAS che ha dato i migliori risultati e  contemporaneamente sostenere le comunità del cibo/comunità energetiche come strumento per stabilire rapporti più solidi e duraturi tra “fruitori”, produttori ed enti locali, collegando, per quanto possibile il biologico al Km zero (perché stride un po’ vedere nei negozi bio prodotti provenienti dal Perù o comunque da terre lontane!). Rimane un problema di copertura dei costi di produzione per prodotti di qualità, che rischia in alcuni casi di incrinare la possibilità di definire patti tra produttori e consumatori e sostenere la certificazione di alcuni beni.

Al tavolo di discussione si è guardato con molta attenzione ai processi di costituzione dei Biodistretti, per le valenze in termini di opportunità di costruzione di comunità territoriali, capaci di interagire con le istituzioni (e di spingere le forze politiche) al servizio del bene comune. Il passo successivo sembra essere quello della definizione di Eco distretti; se il biodistretto infatti configura l’aggregazione di aziende biologiche, il concetto di eco-distretto sottolinea con più forza il tema dell’aggregazione di diversi attori a livello territoriale, che operano in un approccio ecologico. 

In questa transizione si pensa ad una nuova agricoltura contadina, come asse portante e attore di un profondo cambiamento culturale. Si auspica l’instaurarsi di un rinnovato rapporto con la terra (su cui nell’ambito di “Venezia 2022” è intervenuta Vandana Shiva), in cui ci si senta custodi della sua fertilità, delle forme impresse nel paesaggio, e allo stesso tempo eredi di un patrimonio, fatto anche di conoscenze e competenze, che abbiamo la responsabilità di tramandare alle generazioni future.

Si è inoltre sottolineato come le pratiche e le istanze descritte a volte si tengano fuori dalle relazioni con le istituzioni di governo locale, a volte cerchino un inserimento in una cornice più ampia, come mostrano le esperienze della Rete delle Politiche locali del cibo, il lavoro di definizione di “mappe” e “atlanti” del cibo, che fanno da sfondo al tentativo di definire una food policy in diversi contesti.

Si ritiene che da un lato si debba combattere all’interno della regolamentazione esistente, lavorare anche a livello istituzionale, premendo per esempio per la definizione più adeguata dei regolamenti di polizia rurale e per uno spazio più ampio e riconosciuto ai processi di agricoltura biologica.

Su di un altro lato si pensa che l’urbanistica possa rappresentare un terreno in cui alimentare l’innovazione, sia agendo sul più tradizionale strumento dello zoning, sia attraverso l’introduzione di nuovi standard. Una strada importante da seguire è, ancora una volta, quella del contrasto al consumo di suolo, sostenendo contemporaneamente processi di rigenerazione e riuso, di mappatura dei terreni demaniali e comunali per attivare progetti e processi innovativi. In particolare in questo ambito si potrebbero inserire standard che prevedano una destinazione d’uso all’agroecologia e a funzioni che migliorino la qualità paesaggistica, il grado di biodiversità, e che stabiliscano regole per allevamenti non intensivi, nel rispetto della conservazione degli equilibri del suolo. Si tratta di mettere insieme le preoccupazioni per il modo in cui si produce con quelle sulla stessa destinazione d’uso della terra. In quest’ottica destano attenzione e necessità di riflessione i processi di destinazione d’uso per altre funzioni diverse dalla produzione di cibo, e dell’accaparramento di terre fertili.  Si è sottolineata la necessità di puntare alla salvaguardia del suolo nelle politiche come condizione necessaria per parlare di qualsiasi altro processo che investa la produzione di cibo.

2.3 Le priorità dei partecipanti

Sono state inoltre proposte dai singoli partecipanti alcune priorità di lavoro che di seguito così come indicate dai singoli sono riportate, senza filtri (il metodo utilizzato per la loro raccolta ha visto la distribuzione di post it in cui ciascuno doveva indicare le proprie priorità).

Le priorità sono state raccolte dagli organizzatori e suddivise in base alla loro rispondenza ad alcuni principi/obiettivi condivisi come di seguito riportato. In particolare si sono individuate alcune piste di lavoro che vanno nella direzione della cura della terra, dei processi e delle forme di gestione, dei metodi produttivi, della importanza della comunità e della educazione alla complessità

  • Prendersi cura della terra

  • Mobilitazione contro glifosate
  • Favorire il “ritorno alla terra” di giovani produttori e all’abitare la terra.
  • Valorizzazione terreni pubblici e demaniali con condizionalità: concessione biologico, primo insediamento, conservazione biodiversità, cultivar locali a rischio erosione genetica.
  • Lavorare la terra deve essere un lavoro dignitoso e gratificante —restauro del suolo + ecosistemi, aiuto per i giovani contadini
  • Questione destinazione suolo (allevamento solo funzionale alla conservazione degli equilibri del suolo)
  • Consumo e protezione del suolo e dell’acqua
  • Conservare la fertilità dei terreni
  • Terra per il cibo umano
  • Ripristino e mantenimento della fertilità del suolo
  • Dare valore alla terra/suolo; diminuire il consumo di suolo; seguire i ritmi della natura all’interno dell’agricoltura
  • Governare il consumo di suolo favorendo la transizione ecologica
  • Problema della destinazione dei suoli per uso animale (carne)
  • Mancanza di cultura della coltura
  • Ritorno dei giovani alla terra. Non solo agricoltori, ma anche una nuova esperienza, una nuova libertà; una nuova narrativa del rurale
  • Questione idrica
  • Mappatura terreni “liberi”
  • Costruzione del fronte per la nuova agricoltura contadina 

  • Autogoverno territoriale nel processo costituente dei biodistretti.
  • Recupero delle conoscenze e competenze contadine
  • Sostenere nuove forme di gestione dal basso

  • Costruzione di comunità territoriali con sviluppo di poteri e capacità e cultura e obiettivi di governo, che si possano collegare anche a livello nazionale e oltre. Senza questo non ci sono garanzie che le istituzioni facciano un servizio al bene comune. Questa pressione deve avvenire su tutte le forze politiche.
  • Centralità dell’autoproduzione di beni e servizi
  • Sostenere l’agricoltura biologica

  • Premere i politici per equiparare a livello regolamentare il processo bio e convenzionale
  • Non stessa dignità tra agricoltura convenzionale e agricoltura biologica perché il biologico deve essere la normalità nell’utilizzo dei suoli e l’agricoltore che usa fitofarmaci e pesticidi deve essere l’eccezione che deve andare a scemare.
  • Collegare il biologico al Km0. Non è possibile vedere nei negozi bio prodotti provenienti dal Perù o comunque da terre lontane!
  • Agricoltura contadina bio
  • Ibridazioni, convergenze, sinergie

  • Sviluppo di progetti site-specifici, che tengano conto delle implicazioni spaziali e paesaggistiche dei nuovi modelli proposti per il futuro
  • Rapporto con comunità energetiche
  • Focus sull’ecosistema
  • Lavoro su etica, relazioni, ecologia profonda
  • Lotta alla GDO e convergenza con i movimenti per il clima e per il lavoro
  • Ruolo del lavoro salariato, in autogestione, migrante, femminile
  • Ruolo dell’energia nella produzione agricola
  • Unire produttori e cittadini sul contrasto della “policrisi” in particolare sui sistemi agroalimentari
  • Ecodistretto
  • Demercificazione del cibo

  • Demercificazione cibo con sganciamento dal mercato, dipendenza da multinazionali del cibo per sovranità alimentare
  • Valorizzare il processo di produzione di beni e non di merci
  • Costruire comunità

  • Sostenere le comunità del cibo come strumento per rapporti più solidi e duraturi tra consumatori, produttori ed enti locali
  • Costruire comunità territoriali capaci di futuro (sostenibili) 
  • Sistemi alimentari locali
  • Patti produttori-consumatori
  • Educazione all’alimentazione, sensibilizzazione

  • Favorire una dieta (quasi) esclusivamente vegetale
  • Educazione all’alimentazione, rapporto con il cibo (come persone e consumatori…); nuove generazioni e nuovo rapporto consapevole con il cibo; crescita personale per una decrescita collettiva/produttiva
  • Cittadini prima che consumatori (per cambiamenti a lungo termine e che coinvolgano la popolazione è necessario formare una massa critica che costringa i governi ad agire
  • Educazione nelle scuole
  • Strategia della comunicazione (attenzione al linguaggio)
  • Più riconoscimento e diffusione di realtà virtuose: portare nelle scuole e in università storie pratiche di aziende (anche guidate da donne e giovani); meno teoria, più coinvolgimento pratico
  • Educazione
  • Siamo sicure che il greenwashing sia sempre “lì fuori”? Come riconoscere chi fa greenwhashing con una narrazione “altra”? Se una sedicente innovazione di produzione è affetta da parassitismo, inganno, la ricerca di profitto economico e di immagine, chi mi assicura che prima o poi, non tradisca anche il principio ecologico?

I diversi spunti emersi dalla discussione sollecitano ad una continuazione del lavoro intrapreso a Venezia, ad andare avanti, pur in una situazione molto complessa, verso scenari che mettano in discussione gli approcci prevalenti in agricoltura, in una prospettiva di decrescita.