I giorni dal 15 al 17 maggio hanno visto svolgersi, nelle sale del Parlamento europeo, una serie di conferenze, incontri e interventi riuniti sotto il titolo Beyond Growth, oltre la crescita (https://www.beyond-growth-2023.eu). Promotori un gruppo di istituti di ricerca e associazioni della società civile tra cui Research&Degrowth, European Youth Forum, European Environmental Bureau, Friends of the Earth, The Club of Rome, Syndicat European Trade Union assieme ad una dozzina di parlamentari di sei gruppi. Oltre ai Greens e alla Left, anche socialdemocratici e popolari.
Le personalità di riferimento sono state Kate Raworth (l’inventrice del modello dell’“economia della ciambella”, rispettoso sia dei vincoli ecologici planetari, che delle condizioni di benessere materiale delle popolazioni), Timothée Parrique (sostenitore della riduzione dei flussi di materia e di energia impegnati nei cicli produttivi), Jason Hickel (sostenitore dei principi di condivisione ed equità nell’utilizzo delle risorse naturali), Vincent Liegey, Tim Jackson, Giorgos Kallis, Raj Patel, Vandana Shiva e molti altri.
Nell’evento si sono confrontati da una parte una platea di più di mille partecipanti, in prevalenza giovani attivisti dei movimenti ambientalisti (qualcuno ha parlato in proposito della “Woodstock della post-crescita” ), dall’altra un nutrito gruppo di Commissari europei, funzionari, responsabili delle istituzioni scientifiche e politici, capeggiati dalla principale sostenitrice del Green Deal europeo, Ursula Von der Leyen che si è spinta ad affermare: «A growth model centred on fossil fuels is simply obsolete» (il modello di crescita centrato sui combustibili fossili è semplicemente obsoleto).
Questi successi, di pubblico e di interlocuzione, potrebbero essere considerati un buon risultato per gli organizzatori. Purtroppo, però, l’impressione è che nemmeno in questa occasione si sia svolto un vero confronto, a orecchie e cuori aperti, su come operare le trasformazioni necessarie a superare le normali politiche economiche dell’Unione Europea e ridefinirne gli obiettivi societari, innanzitutto liberandosi dalla deleteria preminenza accordata, nel nostro modello di sviluppo, all’indice del PIL. «L’attuale caos climatico ed il disfacimento della trama della vita da cui dipende la nostra società – è scritto nella lettera di convocazione – rappresentano una minaccia esistenziale per la pace, la sicurezza idrica e alimentare, e la democrazia». Si impone quindi un rapido cambio di modello economico che esca dalla spirale perversa della crescita attraverso «una pianificazione democratica» che contempli «il ridimensionamento dei livelli di produzione e di consumo (talvolta definito “decrescita”), per quei paesi che superano le proprie risorse ecologiche». Una pacificazione e un affratellamento dei popoli possono avvenire solo in un contesto di cooperazione e di equo utilizzo dei beni comuni naturali universali, nel quadro di un’economia rigenerativa.
Nessun timore di impoverimento: biocapacità e benessere, equità e democrazia vanno assieme. «Nel contesto delle nazioni ad alto reddito, una impronta ecologica minore non si tradurrà in condizioni di vita peggiori. Politiche di “sufficienza”, incentrate sulla frugalità, sulla riduzione delle risorse e degli orari di lavoro, possono aumentare significativamente il benessere e diminuire le pressioni ambientali, creando così la possibilità di una prosperità sostenibile senza crescita». Lo stesso Green Deal Europeo non potrà realizzare i suoi obiettivi senza «un cambiamento sistemico» del contesto socioeconomico che «includa la decrescita come una necessaria fase di transizione per raggiungere un modello di post-crescita». Gli obiettivi della Agenda 2030 Onu dello sviluppo sostenibile devono essere ordinati e declinati secondo un preciso criterio di priorità che veda alla base la conservazione della biosfera e l’equità sociale. Esistono molte esperienze di successo di economie diverse, solidali, cooperative, collaborative, no-profit.
Ma “oltre la crescita” può dirsi in vari sensi. Crescita verde, post-crescita, decrescita… Gli incontri hanno visto confrontarsi varie visioni, diverse interpretazioni di questa formula che lascia solo presagire la necessità di muovere oltre lo stato presente, senza disegnare una visione univoca e un preciso sentiero da intraprendere per muovere verso questo oltre.
Molto interessanti sono stati i contributi per così dire più storici. In questa categoria rientra sicuramente quello di Florence Jany-Catrice, professoressa d’economia all’università di Lille, che ha delineato una sorta d’archeologia del concetto di Prodotto interno lordo, ricordando come esso sia nato nella cornice della ricostruzione propria del dopoguerra, caratterizzata in particolare dalla destinazione dei prodotti al mercato, dall’obbiettivo di rilancio dell’attività industriale e dalla ricerca di una condizione d’opulenza. Ha ricordato anche che nelle società esistono diverse sorgenti di valore, e che il valore economico non deve necessariamente primeggiare su quello sociale o su quello ecologico, proprio come il linguaggio economico non deve pretendere d’imporsi su ogni altro, interpretando e traducendo ogni cosa in un possibile asset.
A questo proposito, e ricollegandosi al tema del capitale naturale scelto per questo Quaderno, una linea diversa è stata espressa da Marco Lambertini, direttore generale del WWF. Dal momento che – argomenta Lambertini – la natura vivente non può competere con l’economia e che l’equazione priceless = worthless (senza prezzo = senza valore) resta imperante nel mondo del mercato imperante, la capitalizzazione della natura è qualcosa di necessario per limitare l’azione distruttiva dei mercati e così contribuire alla sua preservazione. Se il ragionamento pare filare, è altresì necessario ricordare che il mercato non è solo un’entità economica, ma anche per così dire linguistica: un operatore semantico che, traducendoli nella propria lingua, trasforma in economici i valori non-economici di cui si appropria. Cosa si tratterebbe di preservare, a questo punto? Non certo la Natura – trama del vivente in cui, come scrisse la Weil, il limite è l’altra faccia della relazione – ma qualcosa come il sostrato biofisico sufficiente e necessario per permettere la riproduzione di una vita il cui orizzonte di senso sia sempre più ridotto, mutilo, soffocato.
“Oltre la crescita” – dicevamo – può dirsi in vari sensi. E tuttavia, in linea generale, ci pare si possa affermare che, nel corso delle giornate di Bruxelles, le politiche ascrivibili a vario titolo all’idea della crescita verde non abbiano riscosso un grande successo. E questo sia nel pubblico che in buona parte dei conferenzieri. I Commissari europei Paolo Gentiloni e Valdis Dombrovskis – assenti di persona, ma presenti per interposto videomessaggio – hanno avuto modo di scoprirlo a suon di fischiate. Confidare nell’idea del tanto celebre quanto chimerico disaccoppiamento di crescita economica e produzione di nocività, affidarsi alla speranza di una progressiva presa di coscienza del “cuore invisibile” del mercato attraendo la sua mano su nuovi asset di capitale naturale o su imprese più o meno “decarbonizzate”, aspettare con ottimismo qualche verde-coniglio estratto dal cilindro della tecnica (la quale può definirsi in quanto «copulazione di scienza sperimentale e capitalismo», come ricorda Ortega y Gasset in La ribellione delle masse) che ci proietti a un altro livello di disponibilità energetica, nell’utopia parodica di ciò che Georgesu-Roegen definì come rivoluzione prometeica… ebbene, buona parte dei presenti nell’emiciclo non sembrava disposta a lasciarsi allettare da questo genere di soluzioni. Ne richiedeva altre: e resta da sperare che richiedesse risposte non solo tecniche, ma anche e soprattutto etiche.
Questo, ci pare, è il principale messaggio lanciato alle istituzioni europee dalle giornate di Bruxelles. Sarà ascoltato? È lecito dubitarne… paradossalmente, il capitalismo è un vero maestro nell’arte del riciclo: speriamo che questo evento non abbia rappresentato il primo grande tentativo di sussumere e riciclare la decrescita nella narrativa, nella logica capitaliste.
a cura della redazione